Molto forte, incredibilmente vicino di Jonathan Safran Foer
Quando ci si trova di fronte ad un capolavoro della letteratura si prova un piacere somigliante a un innamoramento, quel fremito ad ogni distacco con l’irresistibile desiderio di riprendere quella relazione, la sensazione di aver percepito quei momenti raccontati dall’altro, l’empatia così profonda che ti impedisce di trattenere il riso o le lacrime.
E Molto forte, incredibilmente vicino è indiscutibilmente un capolavoro! Dopo quasi trentacinque anni di insaziabili letture mi è parso evidente fin dalle prime gustose pagine. Qui Oskar di nove anni (proprio come mio figlio) newyorkese, nonché uno dei protagonisti narranti, illustra sue sagaci e impossibili invenzioni, come una camicia ricoperta di becchime che avrebbe attirato migliaia di uccelli e consentito il volo. Geniale, no? E divertentissima… salvo scoprire di lì a breve che avrebbe potuto servire per uomini come suo padre morti nelle Twin Towers. Le altre due voci del romanzo sono dei suoi nonni, entrambi sopravvissuti (o meglio dire “non morti”) alla tragedia di Dresda, quasi misconosciuta, se non fosse per il grande Vonneguth (Mattatoio n. 5 o la crociata dei bambini di cui parlerò prossimamente). Sono personaggi “mancanti”, portatori di un enorme carico di sofferenza, eppure di una ricchezza e sensibilità fuori del comune. Con loro si ride e si piange, senza mezze misure alla ricerca spasmodica di materia per colmare i loro vuoti.
Senza soluzione di continuità per piacevolezza vi è lo stile fatto di un linguaggio mimetico tra i più accurati che conduce al pastiche, questa inevitabile mescolanza di registri a cui si aggiunge anche un’inusuale scelta tipografica. Sì, perché verrete catturati anche da foto, biglietti da visita, etichette, testi cerchiati in rosso e altre stranezze di cui comprenderete l’importanza e l’integrazione con l’opera stessa, fino all’inebriante gioco finale del rewind temporale.
Insomma, finita l’ultima pagina vi mancherà!
Tre mesi e mezzo fa ho preso la mia prima lezione di jujitsu. [] Al corso eravamo in quattordici e avevamo tutti dei pigiami bianchi ultrapuliti. Ci siamo esercitati a far l’inchino, poi ci siamo seduti come gli indiani e dopo il Sensei Mark mi ha detto di avvicinarmi e mi ha ordinato: “Tirami un calcio nelle pallottole.” Qui mi sono sentito in imbarazzo e gli ho chiesto: “Excusez-moi?” [] Lui ha insistito: ” Su, avanti. Distruggimi le palle.” [] Gli ho risposto: “Io sono pacifista.” [] Allora mi ha spiegato: “Un allievo di jujitsu diventa maestro distruggendo le palle al suo maestro.” Gli ho risposto: “Affascinante.” Tre mesi e mezzo fa ho preso la mia ultima lezione di jujitsu.
Buona lettura e buone riflessioni 🙂
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