Ho pubblicato l’intera (fatta eccezione per la breve sintesi dei contenuti del romanzo) scheda di lettura fornitami da ALI (Agenzia Letteraria Internazionale) in modo che i miei lettori possano verificare un loro futuro giudizio con questo professionale.
Inoltre, vorrei approntare una breve “autodifesa” su alcuni punti.
1) “Nei testi di narrativa ben riusciti l’autore riesce a non introdurre note ma a spiegare quanto opportuno all’interno della narrazione e senza appesantire la stesura.”
Sono totalmente d’accordo anch’io con questo assunto. Solo che l’agenzia si riferisce al passo che comincia con “Era l’ora che volge il disio ai naviganti” e pubblicato alla fine del capitolo II. Si tratta di una parodia stilistica dantesca, anzi delle più celebri edizioni commentate della Divina Commedia, in cui il testo di Dante ha minor spazio delle esegesi a pié di pagina. Quindi le “note” non sono veramente tali, ma parte integrante del romanzo.
2) “[…] si ha la sensazione che il divertimento “prenda la mano” all’autore, il compiacimento e il desiderio di cimentarsi con stili e registri diversi (teatrale, poetico, espedienti grafici, tiritere, canzonette…) prevalga decisamente sui contenuti e l’unità dell’opera.”
La mia “poetica” o meglio quella di Che minchione le formiche! è racchiusa in ciò che potete leggere nel “Racconto di natale“. Il divertimento è stata proprio la cifra dominante dell’opera, ma non vi è stato nessun autocompiacimento o desiderio di testare le mie capacità stiliche. A rischio di sembrare immodesta, se c’è qualcosa che mi è sempre riuscita naturale (come per alcuni disegnare, cantare o fare sport) è la scrittura. Al contrario nel cercare un’unità nel romanzo l’ho trovata (così almeno era nei miei intenti) nel pastiche, nella miscellanea di stili, nella germinazione contenutistica sospinta dalla forma della parola. Ad esempio un semplice nome proprio, Marco, che storpiato dai protagonisti diventa Macco, evoca il Maccus della commedia latina e di qui germina (quasi una riproduzione spontanea) un racconto teatrale. Oppure Salvo, che racconta ai suoi compagni un evento significativo per la loro storia, evoca un aedo e questo termine germina lo stile del poema epico o dantesco (senza andare troppo per il sottile). Lascio ai più abili solutori il perché di tutte le altre scelte stilistiche ;)) ma vi assicuro che c’è e non è fine a se stessa.
3) […] una forma di esibizionismo fa capolino qua e là: uno sfoggio di cultura (anche questa sicuramente di grado non comune, ma non per questo da esibirsi come un trofeo!) compiaciuto, ma improprio […].
Ovviamente, liberi di non credermi, ma non credo di avere una cultura di grado così non comune, quindi nessuno sfoggio. Ma, mi chiedo, questo giudizio non può forse derivare dall’appiattimento culturale a cui si tende, per cui ciò che fino a quarant’anni fa era inteso come normale ora viene giudicato extra? Quindi, nessuno sforzo per il lettore di prendere eventualmente in mano un dizionario? E’ così che sono diventata quel che sono, leggendo autori che mi costringevano a elevarmi dal mio insulso e scipito blaterare quotidiano.