Mare di papaveri di Amitav Ghosh
Si tratta del primo romanzo di una trilogia da poco conclusa: Mare di papaveri (2008), Il fiume dell’oppio (2011) e Diluvio di fuoco (2015). Ed è già in sé una grandiosa epopea indiana.
L’Ibis, la goletta senza fama con un equipaggio di lascari (marinai cinesi, africani, arabi, malesi…), rappresenta un po’ il crogiolo di popoli alla base del “continente” indiano. Ed è anche il luogo senza regole che consentirà ai protagonisti reietti di incontrarsi e ricominciare una nuova vita.
Nel 1838 fa vela con le sue ali bianche alle foci del Gange e ci porta alla scoperta di ciò che l’India era all’inizio dei grandi stravolgimenti storici che la coinvolsero.
Tra i suoi passeggeri incontreremo Deeti, una giovane donna come tante, con un matrimonio combinato dalle famiglie in giovanissima età. Un marito lavorante nella fabbrica di oppio, ben presto ucciso da questa droga. E destinata alla pira del defunto, se un suo innamorato non la liberasse, come in una fiaba. Neel, invece, ne è detenuto. Erede di una famiglia di brahamini, credeva di essere nella schiera degli eletti dalla fortuna, prima di finire nelle grinfie proprio di un inglese che ambiva alle sue proprietà. E quale mezzo più semplice di denunciarlo per truffa per ottenere un esproprio? Infine, c’è ci sono Jodu e Paulette, figli di due amanti “illeciti”, un’indiana, la madre di Jodu, e un francese, il padre della ragazza. Unioni impossibili e socialmente disdicevoli anche fino a non molto tempo fa.
Sullo sfondo c’è la colonizzazione inglese, tramite la Compagnia delle Indie Orientali e i suoi oscuri mercanti, e lo sfruttamento della regione per la produzione di oppio. Realtà non molto distanti, in fondo, a ciò che le attuali multinazionali (del petrolio per esempio) compiono nei confronti del Medio Oriente o di tante zone africane.
Quando la barca salpò con Kabutri a bordo, Deeti ebbe l’impressione di aver reciso l’ultimo legame con la vita. Da quel momento non ebbe più alcuna esitazione: con la sua abituale meticolosità, cominciò a predisporre la propria fine. Di tutte le sue preoccupazioni, quella di essere consumanata dalle fiamme era la meno grave: qualche pezzetto d’oppio l’avrebbe resa insensibile al dolore.
Buona lettura e buone riflessioni 🙂
Cinzia Di Mauro
pubblicato su Newsicilia.it