Maturità 2017 – analisi del testo svolta da Cinzia Di Mauro 😉
“Versicoli quasi ecologici” di Giorgio Caproni (raccolta Res Amissa)
1 Non uccidete il mare, a
2 la libellula, il vento. b
3 Non soffocate il lamento B (ottonario)
4 (il canto!) del lamantino. C (ottonario)
5 Il galagone, il pino: c
6 anche di questo è fatto d
7 l’uomo. E chi per profitto vile D (interna) (decasillabo)
8 fulmina un pesce, un fiume, f
9 non fatelo cavaliere A (ottonario)
10 del lavoro. L’amore g
11 finisce dove finisce l’erba H (decasillabo)
12 e l’acqua muore. Dove g (interna)
13 sparendo la foresta l (enjambement)
14 e l’aria verde, chi resta l
15 sospira nel sempre più vasto M (decasillabo)
16 paese guasto: Come m (interna)
17 potrebbe tornare a essere bella, N (decasillabo)
18 scomparso l’uomo, la terra. N (ottonario)
Interessante lirica “Versicoli quasi ecologici” di Giorgio Caproni che porta alla ribalta ciò che dovrebbe essere sempre iscritto tra le priorità umane: il benessere del nostro pianeta e il ruolo giocato in esso proprio dalla nostra civiltà.
Tutta disciolta in uno stile vagamente prosastico dal linguaggio semplice, al limite del paratattico, riflette, tuttavia, un’assoluta precisione tecnico-semantica, propria della tradizione ligure di Montale.
Esemplificazione del primo dei suddetti elementi è il concatenarsi di molteplici periodi “semplici” (“non uccidete…”, “non soffocate…”, “Il galagone…”), ai quali al contempo si unisce un lessico essenziale e ripetitivo (uccidere, soffocare, amore, bello, fare, finire…).
Un uso “tecnico”, invece, della lingua si nota nei termini “libellula”, “lamantino”, “galagone”, “pino”, “profitto”, “cavaliere del lavoro”.
Eppure “Versicoli” non abbandona echi e omaggi tanto alla metrica classica dei nostri amati settenari (vv. 1, 2, 5, 6, 8, 10, 12, 13, 14 grazie all’enjambement, 16), quanto al decadentismo di Pascoli e D’Annunzio con ottonari (vv. 3, 4, 9, 18) e decasillabi (vv. 7, 11, 15, 17). Anche le rime si rimbalzano frenetiche pur senza uno schema preciso, talvolta con rimandi interni (amore-muore; fatto-profitto; vasto-guasto), tal’altra con assonanze (bella-terra) o consonanze (mare-cavaliere), che mettono in primo piano – e veniamo al contenuto che si esprime e sottolinea proprio alla luce di questi aspetti formali – le basi della vita: il mare, il vento, un fiume, l’erba, la foresta e ciò che tutte le comprende, la Terra. Parola quest’ultima che non può che concludere la poesia.
È questo, a mio avviso, il significato sotteso a questa scelta stilistica, il desiderio di veicolare una comunicazione di grande immediatezza, a tutti accessibile, in quanto “sostanziale”. Mi riferisco al senso etimologico più profondo di “substare”, cioè di “stare al di sotto” alle fondamenta di qualunque altro ragionamento.
Il nostro (degli uomini) essere sulla Terra sta al di sotto della Terra stessa. Noi umani siamo costituiti dei suoi elementi (“Il galagone, il pino: anche di questo è fatto l’uomo”). Tuttavia, siamo sempre noi gli artefici del declino ecologico, dell’inquinamento globale (“sempre più vasto paese guasto”). E a noi si rivolgono gli imperativi iniziali (ripetuti in anafora) che con la negazione rivelano le devastazioni imperversanti: “non uccidete”, “non soffocate”.
In conclusione emerge la più alta nota pessimista del poeta che pare suggerire l’unica (paradossale?) soluzione possibile. Solo la scomparsa dell’uomo potrà risanare il pianeta. Ed è forse quest’ultimo concetto che spiega il “quasi” del titolo. “Versicoli ecologici”, infatti, avrebbe rappresentato una volontà aperta ad una possibilità. Il “quasi” riduce, smorza (annulla?) la fattibilità di questa opzione, se non, giustamente, con la dissoluzione dell’autore stesso di tale scempio.
Il caro “refrain” gramsciano del pessimismo della ragione e dell’ottimismo della volontà mi sembra perfettamente concretizzato in questo inno/grido ad un rinnovato modo di vivere sulla e nella nostra Terra.