romanzo humour noir
Quando mi è stato chiesto dal Dott. Ponti della Edizioni Alternative una quarta di copertina per La storia vera di un killer nano, ho subito riflettuto sulle ragioni che mi hanno indotto a scrivere la mia biografia.
Innanzi tutto, mi infastidiva come un dito su ectasie anali (parlo per esperienza) che la versione di quella minuscola arpia di Annette e degli altri miei, ahimè, numerosi detrattori fosse l’unica in circolazione. Inoltre, desideravo rendere oneri e onori al ruolo del commissario Bentivegna in tutta questa storia: che il tempo sia generoso con coloro che operano con professionalità e passione. E al contempo, mi sentivo in obbligo morale di far conoscere al grande pubblico il fu Johnny Trovato, mio mentore e padre putativo, in quelle gesta che la morte vela di eroismo.
Non sono un uomo incline ai rancori, ma certo confesso che mi solleticasse la prospettiva dei miei amati Signori Genitori e dei miei adoratissimi fratelli Gemelli a rodersi per i miei successi per il resto delle loro inutili vite. Ritenevo, altresì, un gesto cortese omaggiare i miei più fedeli committenti per la fiducia e la stima sempre dimostratami; quale artista, infatti, non ritrae il proprio mecenate?
Se a ciò, infine, si aggiunge quella vacua velleità che spinge i post quarantenni ad ammantare la propria esistenza di significati cosmico-misterico-filosofici, eccovi un quadro di cosa rappresentino queste mie memorie.
Vostro per sempre bassissimo
Tano Guglielmino
Ma chi è Tano Guglielmino? Uno scolaretto, un giullare, una testina di prova per parrucche, un provetto affabulatore, un filosofo, un cuoco, un artista dell’omicidio?
Sì, perché il Nostro ha sviluppato nel corso della sua travagliata esistenza tecniche tutte sue assolutamente iperboliche e surreali, più prossime all’invisibilità che al mimetismo:
kung fu – una trasformazione in tigre, scimmia, airone e mantide, ipnotica – induzione nell’osservatore ad uno stato allucinatorio, elfica – nascondimento dentro un mantello camaleontico, cartellonistica – inserimento nella scena di un cartellone pubblicitario, sportiva – mimesi di un borsone capiente, acquatica – camuffamento da boa di segnalazione.
…
Questo killer nano si racconta nella sua autobiografia con ironia e leggerezza, senza omissioni sulle proprie ossessioni e idiosincrasie. Mette a nudo lo scabroso della propria anima e sbeffeggia alcuni vizi contemporanei, con una semplice giustificazione: sono un nano, ovvero per sua natura una creatura manchevole che ha bisogno di appropriarsi di qualcosa al di fuori di sé, per riequilibrare il furto subito alla nascita.