In questi ultimi anni è diventato, per ovvi motivi, il tema dei temi: il terrorismo islamico. E ogni volta che si ripresenta un attentato nel cuore dell’Europa escono fuori dalle pubbliche piazze, fomentate da un becero giornalismo fondamentalista, argomenti orripilanti sulle colpe del popolo arabo e musulmano. Ora privo di capacità di integrazione, storicamente guerrafondaio, economicamente inconcludente e improduttivo, religiosamente retrogrado atto solo ad instillare idee di morte e distruzione, ora non abbastanza mosso alla condanna del terrorismo.
Sfatare uno per uno questi stereotipi sarà un po’ lungo, ma non troppo complesso.
Superato il primo periodo dedito alla “guerra santa” (ricordo sommessamente che al contempo tutti i cristianissimi regni europei erano impegnati in conflitti e conquiste senza sosta) e assestatisi come regni o emirati autonomi, gli arabi mediorientali, nordafricani e iberici hanno instaurato un clima di grande tolleranza religiosa e integrazione delle altre religioni monoteiste (la cristiana e l’ebraica), i cui membri convivevano liberamente nei loro territori. Possedevano le menti più acute, tra filosofi (Averroè e Avicenna…), matematici (basti pensare ai numeri oggi usati in tutto il mondo come unico linguaggio universale), architetti e ingegneri (capaci di costruire l’Alhambra, giardini pensili, fognature, acquedotti riprendendo un’eredità romana nel medioevo dimenticata), astrologi, medici…
Schiacciati dalla Reconquista nella penisola iberica, molti di loro costituirono fino al regno di Filippo II il nerbo dell’economia spagnola, grazie ai loro commerci e al loro spirito d’intraprendenza. La cacciata dei moriscos e di molti ebrei rappresentò storicamente un durissimo colpo per la Spagna che ne pagò le conseguenze con una lenta, ma inarrestabile decadenza. L’aggressività turca frenò in un primo momento lo sviluppo tecnologico del mondo arabo, che conobbe tuttavia una ripresa fino all’Ottocento. Il sistema conservatore dell’Impero turco provocò, comunque, una progressiva decadenza cedendo il passo a Francia e Inghilterra nel Nord Africa, come in Grecia, inimicandosi le stesse dinastie arabe tenute soggiogate.
Durante la I Guerra Mondiale proprio la Francia e l’Inghilterra si associarono agli arabi, promettendo loro la Grande Arabia al termine del conflitto, se li avessero aiutati a sconfiggere i turchi. L’Impero turco fu smembrato, ma le potenze vincitrici non mantennero i patti e crearono dei mandati (governi indiretti) sotto il loro controllo in Siria, Palestina, Libano e altri emirati.
Dalla II Guerra Mondiale la stagione delle potenze coloniali era conclusa, ma già subdolamente sostituita dal controllo, altrettanto solido delle loro multinazionali (British Gas inglese, Total francese, Chevron statunitense e Lukoil russa), dei dittatori da loro scelti (cito per tutti Saddam in Iraq, Gheddafi in Libia o Al-Assad in Siria, perché è più facile trattare e controllare un solo uomo che una nazione) e della loro decisione di esproprio dei territori palestinesi da assegnare al nascente Stato d’Israele (e tutti sappiamo quale situazione di guerra permanente ciò abbia comportato).
Nel frattempo, questa debolezza politica e concentrazione di potere e ricchezze nelle mani di pochi ha provocato l’impoverimento dei più che hanno tentato fortuna in Europa, allettati dalle nascenti industrie delle ex colonie e dal loro bisogno di manodopera a basso costo (ricordiamo che un operaio maghrebino era pagato dalla Renault circa un terzo meno di un suo parigrado europeo). E la loro integrazione con la seconda e poi terza generazione è finalmente arrivata? La risposta è, purtroppo, sotto gli occhi di tutti. Generalmente no. Le difficoltà economiche dei primi arrivati hanno fatto la differenza, offrendo una vita “periferica” di scarsi successi scolastici, di lavori precari facili prede della malavita (cosa che si verifica senza particolari caratteristiche etniche anche nelle nostre zone suburbane).
Recentemente, i dittatori messi in carica dagli Europei e USA avendo sollevato troppe pretese economiche sono stati scoperti improvvisamente dei crudeli massacratori di civili inermi e urgente è diventata l’esigenza di spodestarli ed “esportare la democrazia”. E ancora una volta, tanto in Libia come in tutto il Medio-Oriente i risultati sono sotto gli occhi di tutti, con un’immensa instabilità dei governi attuali, in cui hanno agito e stanno agendo altri fattori destabilizzanti. In primis il terrorismo di matrice islamica con Alqaeda, l’ISIS e gruppi associati come Daesh in Somalia o Boko Haram in Nigeria, quindi l’atavica separazione tra sciiti (presente in Iran e in minima parte in Siria) e sunniti (il resto del mondo arabo) e infine il controllo economico del fenomeno terroristico da parte di grandi potenze teocratiche, come l’Arabia Saudita.
Su queste ultime l’opinione pubblica è silente e spesso ignorante, mentre proprio qui si nasconde una delle chiavi della risoluzione del problema. Infatti, l’Arabia e alcuni altri Emirati foraggiano i terroristi e le loro attività delittuose, mantenendo al contempo affari con tutto l’occidente (l’acquisto di grandi marchi, la compartecipazione anche maggioritaria in multinazionali, tra cui quelle petrolifere con associazioni della famiglia Bush a braccetto con quella Osama!). Se avessero voluto veder compiersi il progetto della Grande Arabia, ci si chiede, non avrebbero potuto comprarsela? Ebbene, sì! Ma allora perché pagano quei pochi facinorosi per un’impresa destinata a tanto rumore e pochi risultati? Beh, forse si tratta di una delle tante opere di distrazione di massa: anziché mostrarsi come i veri nemici dello sviluppo del loro popolo, come coloro che si arricchiscono a dismisura senza troppe concessioni nella creazione di una classe media, preferiscono mantenere una massa ignorante facilmente manipolabile. E di distrazione di massa si può parlare anche per la nostra opinione pubblica che continua a guardare alle ultime scie di sangue, senza risalire a chi tiene veramente in mano la lama. O peggio se la prende con gli arabi nel loro insieme.
La popolazione araba e musulmana nella sua stragrande maggioranza è vittima non carnefice: vittima perché soccombe sotto le bombe dei terroristi (che agiscono sui loro territori prima che sui nostri; centinaia di migliaia sono stati i loro morti con milioni di sfollati); vittima perché è diventata bersaglio di stolide accuse di passività. Più di manifestare “Not in my name”, più di unirsi ai nostri cori disapprovanti, più di mettere in moto i loro capi religiosi per dichiarare la loro assoluta lontananza da queste crudeltà, cosa dovrebbero fare? Dovrei io siciliana sentirmi colpevole perché non testimonio ogni secondo del mio tempo la mia estraneità alla mafia, qualcosa che non è neppure lontanamente vicino al mio DNA?
Ora, non dico che non bisogni mandare truppe per sconfiggere l’ISIS, sguinzagliare l’intelligence per scovare i foreign fighter, proteggere i nostri luoghi più sensibili, ma il male peggiore sta altrove ed è silente e aggressivo come un cancro. E’ costituito dalle multinazionali che controllano e desiderano l’instabilità politica in alcune nazioni, utili per i loro sporchi affari, e dagli Stati che ne detengono i pacchetti di maggioranza (USA, UK, Francia, Russia, Arabia Saudita, Emirati Arabi in prima fila, con l’Italietta in coda giusto per non sfigurare).